E’ un dato definitivamente acquisito che la risposta immunitaria (il più efficiente meccanismo di difesa del nostro organismo) subisce una progressiva riduzione con l’invecchiamento. Alla nascita è presente, sia nella specie umana che negli animali, un organo, il timo, situato nel torace, dietro lo sterno. Quest’organo, dopo la pubertà, presenta una rapida involuzione e nel soggetto adulto si riduce ad una piccola massa di tessuto atrofico. All’atrofia del timo consegue una progressiva perdita dell’efficienza dell’immunità cellulo-mediata.

Il timo produce infatti i linfociti T (T da Timo) e, ad opera di fattori stimolanti (la timopoietina e le linfochine) la loro differenziazione in cellule attive, che neutralizzano sostanze estranee all’organismo (i cosidetti antigeni). Oltre al timo subiscono fenomeni involutivi anche altri organi facenti parte del sistema immunitario, quali il midollo osseo (in cui si riduce il numero delle cellule, sostituite da tessuto adiposo), la milza e le linfoghiandole (in cui si riduce il numero e la cellularità dei centri germinativi).

Alla ridotta efficienza della immunità cellulo- mediata viene, almeno in parte, attribuita l’aumentata suscettibilità dell’anziano ai processi infettivi ed alle loro complicanze.

Altri aspetti indicativi di una ridotta efficienza del sistema immunitario sono le modificazioni della concentrazione nel sangue delle immunoglobuline (proteine che neutralizzano anch’esse componenti estranee all’organismo). Caratteristico, infatti, è l’aumento d’immunoglobuline di natura auto-anticorpale (dirette cioè verso componenti proprie dell’organismo), sia organo-specifiche (anti-endotelio, anti-cellule gastriche, anti-muscolo liscio, anti-cellule neuronali, ecc.) sia non organo-specifiche (anti-DNA, anti-mitocondri, ecc.). In altre parole l’organismo non riesce più a riconoscere come propri alcuni suoi costituenti, o perché questi ultimi subiscono modificazioni o perché i meccanismi di riconoscimento si alterano. Ne consegue un aumento delle cosiddettemalattie auto-immuni(quali anemia perniciosa, artrite reumatoide, ecc.) o l’aggravamento di altre malattie, comuni nell’età avanzata, dipendenti da altra causa primaria (quali ictus, cardiopatia ischemica, demenza vascolare, ecc.). Infine, si riduce con l’età l’attività di altre cellule, implicate nei meccanismi immunitari, quali i macrofagi e i neutrofili, e soprattutto le cellule citotossiche K (Killer) e NK (Natural Killer). Alla perdita di efficienza di questi sistemi alcuni ricercatori riconducono principalmente l’aumento di incidenza di alcuni tumori nell’anziano. Recenti ricerche indicano che in anziani sani il deficit del sistema immunitario è relativamente meno pronunciato: ciò fa supporre che le alterazioni osservate potrebbero essere effetto, più che causa, di malattie concomitanti.

Altre ricerche sui centenari dimostrano che i sistemi di difesa, in questi soggetti di eccezionale resistenza biologica, mantengono un elevato grado di efficienza, tanto da poter essere considerati un marker genetico di longevità. Le cellule immunocompetenti, infatti, conservano adeguate capacità replicative e di risposta agli stimoli antigenici. Partendo dall’ipotesi immunologica dell’invecchiamento, uno studioso italiano, C. Franceschi, ipotizza che le potenzialità del nostro sistema immunitario, geneticamente determinate, vengono progressivamente esaurite nel corso della vita in relazione alla aggressione antigenica, derivante dal ripetuto contatto con sostanze estranee che invadono l’organismo, in particolar modo virus e batteri.

Il miglioramento delle condizioni igieniche, che si è verificato nei paesi civilizzati, può aver ridotto in misura considerevole la aggressione antigenica, preservando più a lungo il sistema immunitario ed evitandone un rapido esaurimento. Questo fattore potrebbe giustificare, assieme ad altri, il significativo aumento della durata media della vita.