In questi ultimi anni si è assistito in Italia, come negli altri paesi Europei, ad una vasta diffusione di quelle che vengono erroneamente denominate “medicine alternative”, sia per una diffusa moda sia per una continua e costante critica alla “medicina ufficiale”.
Tale critica viene svolta maggiormente da quella categoria di individui che si aspetta dalla medicina ufficiale un maggior interessamento ai loro problemi: i pazienti sono diventati sempre più esigenti nei confronti di una Medicina che si è sempre più aperta al pubblico e che soprattutto ha permesso, attraverso i suoi costanti e continui progressi terapeutici e tecnologici, un benessere psico-fisico ad una popolazione sempre più vasta. Questo progresso, negli ultimi trent’anni, attraverso una sempre più completa iperspecializzazione tecnologica, ha fatto diminuire il rapporto di umanizzazione tra terapeuta e paziente: infatti sempre più numerosi medici si interessano di una parte specifica del nostro organismo e la costruzione sempre più sofisticata di macchine diagnostiche, dalla T.A.C. alla R.M.N., li ha sottratti da questo rapporto. Un contesto, quest’ultimo, dove la ricerca di un continuo benessere materiale da parte di un pubblico sempre più vasto ha permesso alla medicina di interessarsi soltanto di una piccola parte del nostro essere: il corpo fisico.
Una cospicua parte di popolazione, si è rivolta pertanto ad un approccio diverso della medicina, che fosse più completa, olistica, ossia comprensione totale del funzionamento del nostro corpo. Prendendo in toto la problematica di disturbi fisici come parte integrante di un complesso sistema di interazioni corpo-mente, si è raggiunta una meta più comprensiva della malattia.
Di questo gruppo fanno parte tutte quelle tecniche terapeutiche che culturalmente e filosoficamente hanno all’origine una comprensione dell’organismo e dei suoi processi patologici non basata soltanto su di un procedimento matematico (infezione batterica=malattia), ma soprattutto su una motivazione di un deficit di risposta organica (costituzione fragile=facilità all’infezione batterica=malattia). Tali tecniche fanno parte sia dell’immensa cultura orientale (agopuntura, shiatzu, reiki, ayurvedica…) sia di quella branca culturale occidentale che ha sviluppato nel corso dei secoli una visione filosofica dell’uomo lontana dal semplice meccanicismo illuminista (Kant… ) e più aperta ad una visione medica globale (Paracelso, Hahnemann, Goethe, Steiner…).
Se la Medicina è intesa come un complesso di atteggiamenti e di studi atti alla conoscenza e alla comprensione dei meccanismi patogenetici delle malattie e come Arte della cura e della guarigione, ogni tecnica terapeutica che è volta a tale comprensione va accettata e sviluppata. Non esistono, quindi, più Medicine (ufficiale, alternativa,…) ma un’unica e sola Scienza atta a conoscere e studiare tutti i meccanismi che conducono ad una malattia e di conseguenza ad una cura o ad una guarigione.
L’Omeopatia, non va intesa come un qualcosa di estraneo a tali meccanismi o una tecnica che estranei il medico da una corretta visione della malattia e della terapia: essa ci permette di comprendere i complicati ingranaggi della malattia non legati soltanto ad una visione puramente quantitativa, ma essenzialmente qualitativa. Se il medico ed il paziente sono alla ricerca della comprensione di quel meccanismo che ha portato alla malattia, l’Omeopatia risponde loro: non soltanto la mera ricerca di una patogenesi o l’eliminazione di un sintomo, ma la conoscenza globale dell’uomo a partire dal suo corpo fisico per arrivare alla comprensione della sua mente.
La malattia non è intesa dal medico omeopata come un semplice ostacolo o un “guasto” corporeo, ma un segnale, un campanello d’allarme che sta lanciando quell’organismo non più capace a mantenere l’equilibrio tra il mondo interiore e quello esteriore, tra sonno e veglia, tra concentrazione e rilassamento, cioè tra le varie opposizioni che coesistono nell’essere umano. Quindi diventiamo malati quando non riusciamo più a bilanciare tali estremi, quando non manteniamo più un equilibrio tra le cose, quando la malattia è una nostra incapacità a leggere tali opposizioni in noi stessi, in maniera tale che esse possano tutte svolgere un determinato ruolo. A questo si associa il significato di salute intesa come armonia, come equilibrio, come “maestra di vita”.
La rottura di questo equilibrio instaura la patologia: ad essa si rivolge il medico cercando la spiegazione anche nel coinvolgimento continuo del paziente. Davanti ad una tonsillite non si cercherà di risolvere il problema sciegliendo la soluzione più semplice e più lontana dalla risoluzione completa con la messa in atto di una antibioticoterapia; lo schema è il seguente: il paziente è malato, non ne è responsabile, sono io, il medico, a cacciarlo da questo vicolo cieco. Da qui l’onnipotenza del medico e di tutte le sue conseguenze: accanimento terapeutico, imposizione farmacologica, disumanizzazione, incomprensione… Quindi di fronte alla tonsillite in questione andremo alla ricerca delle cause che hanno indotto l’organismo a cedere ad un’aggressione esterna: non è più il batterio la causa originale e fondamentale della malattia, ma soltanto quella scatenante. Il sintomo definibile, quantizzabile, riproducibile è da studiare e da catalogare: il paziente finisce nell’ essere conglobato in questa visione: diventa soltanto un semplice o complesso caso clinico. L’Omeopatia si interessa dell’organismo in toto e delle sue funzioni, del terreno predisponente a specifiche malattie; il sintomo diventa, dunque, per l’Omeopata un segnale, un allarme lanciato da un sistema organico, vitale, in preda ad una disarmonia, le cui cause originano da motivi basati su una tipologia ( studio di classificazione di un soggetto su base dinamica) ben definita, su un terreno costituzionale (momento statico di classificazione, di incasellamento delle diverse tipologie all’interno di gruppi omogenei che possono essere studiati come tali) ben specifico, su una diatesi (insieme dei sintomi presenti in una collettività nel loro trascorso personale ed ereditario e della loro variabilità futura in mancanza di cure specifiche.
“Tale sintomatologia è a sua volta, analoga alla patologia di alcuni fra i grandi rimedi e di conseguenza, questi ultimi, in virtù del ragionamento analogico, divengono omeospecifici di queste diatesi”-M.Tetau-) ben costituita, su un comportamento morfologico-funzionale pre-stabilito.
Il farmaco omeopatico diventa, quindi, mezzo e non risoluzione assoluta, affinchè si faccia strada nel paziente quell’autoguarigione che diventa una porta spalancata ad una nuova armonizzazione, ad un nuovo riequilibrio di tutto il suo essere. Quando Hahnemann definì i concetti base dell’Omeopatia, li fece in base a studi empirici su determinate reazioni di sostanze che se assunte da un organismo sano scatenavano gli stessi sintomi di una specifica malattia: era stata deposta la pietra miliare dell’omeopatia, guarire la malattia con il suo simile. Iniziò un periodo fertile e febbrile che portò alla sperimentazione di innumerevoli sostanze attinte dal Regno minerale, vegetale ed animale su persone sane. Le descrizioni di questi sintomi più vari vennero registrate in maniera capillare in modo tale da cogliere analogie con le malattie conosciute. La scienza della similitudine, già preconizzata da Ippocrate, nel lontano mondo Ellenico, con il suo “similia similibus curantur”, cominciava a costituirsi.
Ecco perchè per l’Omeopata ogni ammalato è un caso a sè: non si deve curare la malattia, ma l’organismo ammalato, dato che si potè verificare che sostanze diverse potevano essere utilizzate nella stessa malattia; poichè la sintomatologia presentava, pur nella permanenza di sintomi preponderanti, sintomi secondari che la rendevano diversa, si capiva come ogni essere umano ammalato rispondeva con una varietà di sintomi ben differenti da un altro ammalato con la stessa malattia.
Per scoprire la moltitudine dei sintomi e la loro varietà in un particolare processo patologico subentra da parte del medico un minuzioso ed attento interrogatorio, che possa condurre ad una attenta spiegazione e comprensione di tutta la sintomatologia descrittta dal paziente stesso. L’interessamento della sua problematica e dello scatenarsi della patologia conduce il paziente alla ricerca di un ascolto attento da parte del terapeuta, quell’ “ascolto” che si è andato perso da parte di una medicina ipertecnologica, interessata soltanto alla comprensione di meccanismi meccanici. La ricerca continua e inarrestabile di un vasto equilibrio e di una conoscenza totale del nostro microcosmo, posto alla luce di una visione dello spazio cosmico esterno, conduce, e sempre condurrà, ognuno di noi a contattare, attraverso il buon terapeuta, intermediario e artefice di questo collegamento, il nostro mondo interiore. Non esistono più, in questo caso, approcci diversi, ma un’unica ed indivisibile ARTE MEDICA con tutti i suoi mezzi atti a tale conoscenza.