L’essere chiusi in sé porta all’incapacità di incamminarsi verso la Vita e i segreti che essa rinchiude: aprirsi alla vita significa, come ci indica R.Steiner, diventare liberi da se stessi e dai legami che il corpo fisico determina.
Alba e crepuscolo, principio e fine, vita e morte si ricongiungono in un’indissolubile verità: l’essenza unica e immanifesta della continuità dell’Immanente, del Divino nell’umano.

Come il bambino cresce e matura diventando uomo attraverso il suo corpo fisico e quello vitale, detto in antroposofia “eterico”, (in India chiamato Prana, in Cina Chi) così l’anziano raggiunge la maturità interiore attraverso la trasformazione delle sue componenti corporee: le forze vitali, organiche vengono utilizzate per sviluppare le forze interiori di natura spirituale. In R.Steiner il raggiungimento dell’ “uomo spirituale” significa arrivare al corpo assoluto dell’immortalità, al raggiungimento del vero Sé, con la possibilità di trascendere e di superare i livelli precedenti.

L’anziano che vede la sua decadenza avvicinarsi e le sue forze che man mano si spengono parzialmente dalla malattia o totalmente dalla morte, giunge frequentemente ad uno stato spirituale particola¬re, ad un’attitudine morale che non può essere qualifica¬ta che come rassegnazione, un genere di consapevole, doloroso distacco da tutte le cose amate, forse spesso dagli ideali che si sono coltivati.
Si rimpiange, nella maggior parte delle persone fra i sessanta e settant’anni, di non poter più lavorare con altrettanto slancio, di non poter più fare tutto ciò che generalmente si faceva nel pieno del vigore fisico. Questa condizione spiri¬tuale si manifesta in molti dettagli della vita quotidiana e può estendersi fino a oscurare l’esistenza sia dell’inte¬ressato, sia di chi gli sta vicino. In altri casi, il declino delle facoltà può condurre a dei conflitti interiori e si è troppo facilmente inclini a mentire a se stessi e a ingannarsi.
Per prima cosa bisogna coltivare molto di più di quanto si faccia, la conoscenza di sé, la compassione e la pazienza, virtù descritte in modo mirabile negli antichi testi ed in seguito sostituire la “rassegnazione dolorosa” (Norbert Glas) con ciò che si potrebbe chiamare un distacco serenamente accettato. La rinuncia dovrebbe unirsi ad un’attesa fiduciosa di ciò che viene, quando il ciclo di evoluzione della vita terrestre è compiuto. Chiunque sia capace di afferrare in tutta la sua profonda portata il destino dell’uomo ne riconoscerà sempre la saggezza e soprattutto la giustizia. Il demonizzare la vecchiaia nella sua essenza fisica porta a denigrarne anche le virtù sapienziali, a svilirne il patrimonio di qualità interiori che ogni individuo accumula e affina nel ciclo di un’intera esistenza.
Fino a tempi recenti, nelle comunità si ricorreva all’esperienza degli anziani, che tante ne avevano viste e sofferte, per attingere a un sapere collaudato sulla propria pelle e non per sentito dire. Oggi invece non ci si affida più a questa risorsa di saggezza, in quanto la senescenza è divenuta sinonimo di demenza. E spesso sono gli stessi vecchi ad alimentare questo pregiudizio, facendo di tutto per enfatizzare un certo vitalismo esteriore e deteriore ai danni di una’interiorità forgiata dalle vicissitudini esistenziali.
Finalità e scopo delle terapie di ispirazione antroposofica, dalla medicina all’euritmia, dal massaggio all’arte-terapia, è riequilibrare un processo che può tendere sia verso un decadere delle forze di “vita” oppure verso una loro trasformazione in irraggiamento spirituale: lo sviluppo psico-spirituale approfitta delle forze liberate dal controllo delle costituenti fisiche per evolversi attivamente e consciamente.

La rincorsa affannata e senza etica del nostro mondo scientifico alla ricerca del mito dell’eterna giovinezza, di faustiana memoria, non deve far deviare dal giusto cammino della ricerca scientifica: come affermava Nicola Tesla, “la scienza diventa perversione se non ha come fine ultimo il miglioramento psico-fisico dell’uomo e dell’umanità”.
Le scoperte del mondo scientifico comunque ci permettono di confermare anche le teorie che dal mondo della scienza antroposofica ci pervengono.
La scoperta di proteine regolatrici dei sistemi ossidativi come la proteina AC5 (5 adenil ciclasi) che privata nei topi determina una maggior produzione di un’altra proteina denominata ERK2, provoca una regolazione dei processi ossidativi endo-cellulari e quindi una maggiore longevità; la scoperta del sistema ubiquitina/ proteosoma che permette di determinare i processi di riparazione della cellula nei processi di ossidazione; l’individuazione di geni specifici, come SIRT3 e SIRT4, che attivati in condizioni di stress dovuto alla privazione di sostanze nutritive, proteggono dall’innescamento dei processi di invecchiamento; del processo dell’apoptosi.
Queste scoperte ci permettono di intuire ciò che stiamo sostenendo e cioè che la privazione e la liberazione dal “corpo” porta all’apertura del “cuore”.
La scienza ci permette di carpire i segreti dell’uomo e del suo processo “entropico”, ma non ci apre le porte della comprensione del suo microcosmo interiore, nascosto da una fragile volontà di eternità.

Se sappiamo guardare con pazienza, intimità, delicatezza “negli occhi degli anziani, vediamo la luce” (V.Hugo), una luce dolce e tenue, una luce stellare che asseta l’anima.
Il crepuscolo alle porte dell’uomo liberato da tutte le passioni, da ogni egoismo, determina nelle persone anziane, attraverso la loro presenza calma, paziente e serena, l’irraggiare di una luce profonda e generosa dove fruttifica il mistero del tempo e dove la lampada dell’anima può leggermente spegnersi.