Iperglicemia a digiuno e post-prandiale: un aiuto per una prognosi più mirata.

Uno stato perdurante d’iperglicemia continuato nel tempo agisce in concerto con altri fattori di rischio cardiovascolari all’interno o nel quadro della sindrome metabolica*, per provocare danno vascolare.

I soggetti con iperglicemia spesso hanno:
insulino-resistenza e iper-insulinemia;
aumento della pressione arteriosa;
aumento dei trigliceridi, aumento delle LDL e bassi livelli di colesterolo HDL;
obesità centrale, elevati livelli di inibitori dell’attivatore del plasminogeno e di infiammazione di basso grado.

Nonostante ciò, modelli sperimentali confermano l’importanza dell’effetto diretto di alterazioni anche lievi dell’omeostasi del glucosio sul processo aterosclerotico.

*Approfondimento sulla Sindrome Metabolica

Cos’è la sindrome metabolica?

Il termine “sindrome metabolica” identifica un insieme di fattori di rischio metabolici che aumentano la possibilità di sviluppare malattie cardiache, ictus e diabete; la causa precisa della sindrome metabolica non è nota anche se esistono numerose evidenze che alcuni fattori genetici, la presenza di una eccessiva quantità di grasso corporeo, specie a livello dell’addome, e lo scarso esercizio fisico contribuiscono allo sviluppo di tale condizione.

La sindrome metabolica viene diagnosticata quando sono presenti tre o più dei seguenti fattori di rischio:
elevata quantità di tessuto adiposo addominale (valutata mediante la misurazione della circonferenza della vita): sono considerati patologici valori superiori a 94 cm nell’ uomo e superiori a 80 cm nella donna);
basso colesterolo HDL (il cosiddetto “colesterolo buono”): meno di 40 mg/dl nell’uomo e meno di 50 mg/dL nella donna);
elevati livelli di trigliceridi: valori superiori a 150 mg/dL;
elevati valori di pressione arteriosa: superiore a 135/85 mmHg o qualora sia già in corso una terapia antipertensiva);
elevati livelli di glicemia: glicemia a digiuno superiore a 100 mg/dL.

La presenza di tre o più di questi fattori di rischio è un segno che l’organismo è resistente all’azione dell’ insulina, un importante ormone prodotto dal pancreas: in questi casi cioè quando è presente una condizione di resistenza all’insulina è necessaria una quantità di insulina maggiore rispetto alla norma per mantenere normali livelli di glicemia.

Il riscontro di valori elevati di insulina nel sangue a fronte di valori normali di glicemia rappresenta un indice indiretto di tale condizione.

Chi corre il rischio di sviluppare la sindrome metabolica?
La sindrome metabolica è molto frequente nella popolazione, e il rischio di sviluppare la sindrome cresce con l’aumentare dell’età.
Una persona può considerarsi a rischio per lo sviluppo della sindrome metabolica se non svolge attività fisica e se:
è aumentato di peso, specie a livello della circonferenza della vita (questa semplice misurazione è un indice di eccessiva espansione del tessuto adiposo viscerale, quello, cioè, che si trova all’interno dell’addome e circonda i visceri);
ha una storia di diabete;
ha elevati livelli di trigliceridi nel sangue ;
ha elevati valori di pressione arteriosa.

La maggior parte delle persone che ha la sindrome metabolica si sente bene e frequentemente non presenta sintomi, tuttavia queste persone corrono un rischio maggiore di sviluppare in futuro malattie gravi come diabete e patologie cardiovascolari, soprattutto in presenza di familiarità positiva, e dovrebbero senza indugio modificare le proprie abitudini alimentari.

Le prime alterazioni della omeostasi glucidica spesso si rivelano come iperglicemia post-prandiale.

I persistenti e sistematici aumenti dei livelli di glicemia post-prandiale contribuiscono significativamente all’esposizione glicemica globale dei tessuti corporei: inoltre, le eccessive e ripetute escursioni del glucosio portano ad un’aumentata variabilità glicemica.

Oggi, sappiamo che l’esposizione glicemica e la variabilità glicemica contribuiscono allo sviluppo dell’aterosclerosi: la parete arteriosa, infatti, è un bersaglio critico per questi insulti glicemici.

La glicosilazione delle proteine (causata dalla presenza di elevati livelli di glucosio che permanendo nell’organismo finiscono per reagire con i gruppi –NH2 dei residui delle proteine) causa legami crociati con il collageno e con altre proteine della matrice extracellulare nella parete arteriosa, aumentando e favorendo la formazione di processi aterosclerotici.

La glicosilazione delle particelle di LDL (causata dalla presenza di elevati livelli di glucosio che permanendo nell’organismo finiscono per reagire con le LDL ossidandole, stimola l’attivazione dei macrofagi, e la formazione di cellule schiumose primo movens per la formazione della placca ateromasica.

Un’azione ancora più diretta è esercitata dalle molecole di glucosio a lunga permanenza nel circolo sanguigno che reagiscono con i terminali –NH2 delle cellule endoteliali, generando la disfunzione endoteliale, una precoce manifestazione d’aterosclerosi, e un importante fattore prognostico per le malattie cardiovascolari.

Nel diabete tipo 2, le fluttuazioni delle glicemia durante il periodo post prandiale o, più generalmente, tutte le oscillazioni estreme sembrano avere un effetto scatenante più specifico sullo stress ossidativo rispetto all’iperglicemia cronica: studi in vitro hanno dimostrato un’aumentata espressione di marker di stress ossidativo nelle cellule esposte a concentrazioni oscillanti di glucosio.

L’iperglicemia in tessuti non insulino-dipendenti, come le cellule endoteliali, provoca una super produzione di radicali liberi e di superossido da parte della catena respiratoria mitocondriale; i radicali liberi possono mediare alcuni degli effetti associati con l’iperglicemia come vasocostrizione, attivazione della coagulazione, aumentata espressione di molecole d’adesione, etc.

L’iperglicemia post prandiale e l’instabilità glicemica sono anche associate con uno stato infiammatorio segnalato dalla formazione di prodotti della glicosilazione avanzata (AGE’s), con un marcato aumento dei livelli di proteina C reattiva e di TNF-a.

L’iperglicemia acuta attiva anche la formazione dei carbonili, portando alla formazione di specie altamente reattive come metilgliossale o 3-deossiglucusone. Iperglicemia borderline e complicanze cardiovascolari Per molti anni le categorie dell’iperglicemia borderline ridotta tolleranza al glucosio (IGT) e l’iperglicemia a digiuno (IFG) sono state considerate soltanto come fattori di rischio per lo sviluppo di diabete, con effetti minimi o irrilevanti sulle complicanze micro- e macrovascolari.

La revisione sistematica dei dati contenuti in diversi database  hanno invece dimostrato che la correlazione fra glicemia e rischio cardiovascolare inizia fin dal range di normalità delle concentrazioni di glucosio plasmatico, con una relazione di tipo lineare che non mostra un effetto soglia. Sia l’IGT che l’IFG si correlano bene con il rischio cardiovascolare:  infatti, entrambe le categorie si correlano indipendentemente con il rischio cardiovascolare:

Nel tentativo di valutare l’influenza separata delle due componenti, diversi autori, dopo correzione per altri fattori di rischio, hanno riportato che la glicemia postprandiale mostra una correlazione più forte con le malattie cardiovascolari rispetto alla glicemia a digiuno.

Un altro modo di studiare le correlazioni fra disglicemia borderline e malattie cardiovascolari è di seguire in modo prospettico i pazienti con iperglicemia a digiuno isolata (IFG)  e iperglicemia postprandiale isolata (IGT) e di seguirli nel tempo, per valutare come questi variabili influenzino nel tempo il rischio di malattie cardiovascolari.

Il gruppo di studio Funagata ha osservato una mortalità cardiovascolare più elevata nei soggetti con IGT rispetto a quelli con IFG; questi risultati sono stati confermati in seguito da altri autori.

Considerando i dati della letteratura nel loro insieme, è pertanto possibile affermare che l’IGT valutata con curva da carico mostra una buona correlazione con la glicemia postprandiale e può essere considerata un surrogato della glicemia postprandiale.

Inoltre, la correlazione fra glicemia rilevata dalla curva da carico e malattie cardiovascolari è indipendente dalla glicemia a digiuno o dall’emoglobina glicosilata.

Queste osservazioni possono essere interpretate in diversi modi: innanzi tutto, è possibile che l’iperglicemia contribuisca di più rispetto alla glicemia a digiuno all’esposizione glicemica complessiva nelle fasi precoci del diabete.

Questo non spiega però, perché, la glicemia postprandiale abbia un effetto indipendente da quello dell’emoglobina glicosilata.

Un’altra spiegazione è che la IGT correli meglio con il rischio cardiovascolare in conseguenza della più elevata prevalenza della sindrome metabolica in questa popolazione, che di per sé aumenta notevolmente il rischio d’eventi cardiovascolare.

Questa ipotesi contraddice però, studi precedenti che avevano dimostrato come l’effetto della glicemia postprandiale sia indipendente da altri fattori di rischio cardiovascolare.

Infine, è possibile che la glicemia postprandiale sia associata con livelli di glicemia più elevati durante il giorno e che questo abbiano un effetto dannoso più spiccato sui vasi e sulla funzione cardiaca (stress ossidativo, abnorme motilità vascolare, alterazioni del flusso ematico ecc.), rispetto allo stato glicemico durante il digiuno.

Differenze fra i picchi glicemici durante i periodi postprandiali e quelli di digiuno possono tradursi in differenti livelli di rischio cardiovascolare in questi soggetti.

Numerosi studi hanno dimostrato che le complicanze microvascolari e macrovascolari sono principalmente o parzialmente dipendenti dalla disglicemia che ha due componenti : l’iperglicemia cronica persistente e le oscillazioni acute della glicemia dal picco al nadir.

Entrambe le componenti portano alle complicanze diabetiche attraverso due meccanismi principali: l’eccessiva glicosilazione proteica e l’attivazione dello stress ossidativo.

Alcuni anni addietro questi due meccanismi furono unificati in una teoria molto elegante, la quale suggeriva che i disordini glicemici osservati nei pazienti diabetici fossero il risultato dall’attivazione dello stress ossidativo causante una produzione eccessiva di superossido da parte della catena respiratoria mitocondriale deputata al trasferimento di elettroni.

Questa attivazione a sua volta produceva una cascata di eventi metabolici caratterizzati da aumentata attività dei polioli, aumentata produzione dei prodotti avanzati di glicosilazione, attivazione della proteina chinasi C e del fattore nucleare Nf-kB, aumento della sintesi di esamine.

Oggi la maggior parte degli studiosi sia del diabete ma anche delle malattie dismetaboliche concorda nel giudicare la disglicemia un fattore da non trascurare affatto.

Il buon senso clinico ci suggerisce come un controllo sia della glicemia a digiuno ma soprattutto della glicemia post-prandiale nonché l’attivazione della PCR e l’emoglobina glicata dovrebbero essere monitorati anche nei pazienti non diabetici magari con chiari elementi di sindrome metabolica in atto.

Ringraziamenti a GIOACCHINO DI LEO

Acquerello di BRUNA MILANI

[box]Bibliografia

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