Una nuova ricerca, sviluppata presso il Dipartimento di Psichiatria dell’Università della Carolina del Nord, e pubblicato su Biological Psychiatry, dimostra che il microbiota intestinale può influenzare lo sviluppo cognitivo del bambino,

I ricercatori hanno analizzato i campioni fecali provenienti da bambini da un anno fino allo sviluppo per determinare la composizione batterica del loro intestino.

All’età di due anni alcuni bambini hanno ottenuto punteggi significativamente migliori nei test cognitivi rispetto ad altri. Le differenze sono state trovate in relazione ai cluster batterici che erano stati identificati nei loro microbioti intestinali.

Secondo i ricercatori, se potessimo capire meglio quali sono i veri ceppi benefici nella complessa comunità del microbiota per lo sviluppo del cervello, la creazione di terapie specifiche per lo sviluppo cognitivo sarebbe all’avanguardia.

Effettivamente questo è un campo di ricerca molto promettente e i passi che si stanno effettuando sono molto veloci.

Il primo anno di vita è il periodo fondamentale per la colonizzazione microbica dell’intestino e la fase più rapida e dinamica dello sviluppo del cervello postnatale.

L’eventuale concorso di questi processi non è stato testato empiricamente negli esseri umani, sebbene studi sui modelli di roditori forniscano prove convincenti che i microrganismi che abitano l’intestino influenzano il neurosviluppo, in particolare sia i comportamenti esplorativi che comunicativi e sia le prestazioni cognitive.

Un certo numero di studi replicati nella ricerca sugli animali ha dimostrato che se si manipola il microbiota, si può influire sul comportamento soprattutto nei primi due anni di vita poiché in questo periodo si presenta sia da parte del microbiota, che dalla componente neuronale, una crescita molto rapida e dinamica.

I ricercatori hanno ipotizzato che i campioni del microbiota intestinale si possano raggruppare in gruppi di “somiglianza comunitaria o cluster” e che i bambini con diversi gruppi differirebbero nelle abilità cognitive.

Si è visto che le prestazioni cognitive complessive sarebbero più elevate nei cluster con un’abbondanza di microrganismi specificatamente benefici (ad es. Lactobacillus o Bacteroides), mentre quella a bassa diversità alfa (che indica un microbiota meno maturo) sarebbe correlata con una performance cognitiva inferiore.

I bambini sono stati successivamente raggruppati in tre gruppi: il Cluster 1 (C1) era caratterizzato da un’abbondanza relativamente elevata di Faecalibacterium, cluster 2 (C2) da un’abbondanza relativamente elevata di Bacteroides e cluster 3 (C3) da un’abbondanza relativamente elevata di un genere senza nome nella famiglia delle Ruminococcaceae.

L’allattamento al seno al momento della raccolta del campione (1 anno), il metodo del parto e l’etnia paterna erano significativamente differenti tra i cluster. I bambini in C2 avevano più probabilità di essere allattati al seno all’età di 1 anno e avevano meno probabilità di essere nati tramite parto cesareo.

L’etnia paterna in C2 era bianca al 90%; in C3, l’etnia paterna era del 71% bianca; in C1, l’etnia paterna era del 57% bianca.

L’analisi primaria ha mostrato che le abilità cognitive dei bambini differivano tra i cluster.

Sebbene ci siano alcune differenze tra i tre cluster sui dati di neuroimaging, le analisi esplorative hanno rivelato che il microbiota intestinale aveva “effetti minimi” sui volumi cerebrali regionali a 1 e 2 anni di età.

È possibile, anche se questo è un dato speculativo, che una maturazione del microbiota più veloce in questo campione possa essere meno vantaggioso, o che lo sviluppo più lento del microbiota sia correlato a un periodo più esteso di plasticità cerebrale.

Tuttavia, lo studio collega fortemente il microbiota intestinale iniziale al successivo sviluppo cognitivo e che i fattori che determinano il microbiota iniziale, come il seno o l’allattamento artificiale, possono influire sul funzionamento cognitivo.

Si può concludere nell’affermare che la ricerca combacia mostrando che l’allattamento al seno è buono e che il parto vaginale ha effetti significatamente positivi.